venerdì 27 giugno 2014

Invidia

Sto cercando di finire la tesi, ma ho un po' di difficoltà a concentrarmi. Solitamente lavoro a casa, di rado studio in biblioteca, ma oggi mi servivano dei libri e ho deciso di restare tutto il giorno (anche per mangiare meno, devo ammetterlo).
Si sta bene: all'ora di pranzo, poi, non c'è nessuno, dalla finestra si vede il parco di fronte, peccato per la tizia davanti a me. Per carità, non ha fatto nulla di male, sta studiando esattamente come me.
La sua unica colpa è pesare almeno 10 chili in meno di me.
Non è la prima volta che la vedo: molto alta, capelli lunghi e biondi, carnagione chiara, look particolare (dark/bambolina), sempre con un filo di trucco e il rossetto rosso. È splendida. Ed è magrissima.
E io la guardo di nascosto, e l'invidia mi lacera.
Anche lei non sta pranzando, come me, ma lei non si è sbranata due pacchi di crackers a metà mattina. Lei si limita a bere dalla bottiglia d'acqua da 1 litro, e neanche il rossetto sbava.
Perfetta.
Credo che l'invidia sia uno dei lati che considero più negativi del mio disturbo (chiamiamola fissa, o malattia, il risultato è indifferente). Se vedo una persona con un fisico più asciutto del mio, che sia maschio, femmina, sana, malata, non ha importanza: la invidio, la odio, non riesco ad averci quasi mai niente a che fare.
Se ci riesco, ed è raro, è solo perché mi sforzo molto o perché la conosco da prima di ammalarmi (anni ed anni, ormai).
Per questo mi detesto. La superficialità con la quale evito ogni contatto con persone magre è agghiacciante. E mi torna in mente sempre T.
T. era una mia compagna delle superiori, un anno più grande, conosciuta in prima superiore (lei ripetente). Anoressica da prima che la conoscessi.
Già allora, nonostante non fossi entrata pienamente nella bulimia, la invidiavo: magra, bella, perfetta.
Siamo diventate amiche alla fine della terza superiore, incredibilmente quando avevo già perso parecchi chili e avevo iniziato a vomitare.
Non so perché, l'invidia non era diminuita, anzi, si era amplificata, visto che lei non prendeva un grammo e non faceva che perderli. Da magra, poi, era diventata magrissima.
Però siamo diventate amiche, e lo siamo rimaste per un po'.
Io le tenevo (come a tutti gli altri d'altronde) nascosto il mio problema, ma alla fine la perdita di peso era diventata evidente (suppongo che 15 chili, per quanto una si copra, si notino, anche se io non ho mai notato la differenza), e lei è stata la prima ad accorgersi che qualcosa non andava.
Si preoccupò per me, e un giorno mi ha affrontato, diretta com'era nel suo carattere. "Sei bulimica".
Non era una domanda. L'aveva capito perché non era così difficile. O non mi vedeva mangiare mai, o se lo facevo correvo dritta in bagno. Con la sua malattia, non poteva non capirlo. Ma io mi credevo molto furba (e, in effetti, aveva funzionato quasi con tutti).
Ho vuotato il sacco.
E lei mi ha detto che mi avrebbe voluto aiutare, che le sarebbe servito, sostenerci a vicenda.
Non parlavamo di calorie, attività fisica, digiuni o vomito, semplicemente bastava sapere che c'era almeno una persona che sapeva quello che stavamo passando, e lo capiva. Che non lo sminuiva come se fosse solo questione di peso, che sapeva che una persona sana non digiuna, non vomita, non si ammazza sulla cyclette o di lassativi per dimagrire, che c'è qualcos'altro.
Entrambe migliorammo, almeno per un breve periodo, almeno nei sintomi. Io smisi (quasi) di vomitare (anche per una promessa che feci a un'altra persona) e m'impegnai ancora di più nelle sedute dal neuropsichiatra (soffrendo di attacchi di panico).
Lei, invece, arrivata ormai a meno di 30 kg (è alta meno di 150 cm), decise di iniziare col day hospital, e prese un po' di peso, salvandosi la vita.
In entrambi i casi, ovviamente, non era bastato sapere di noi, ma, secondo me, ci ha dato una spinta in più.
Poi, non so.
Ho preso peso, le abbuffate aumentavano e la palestra non bastava più. Il vomito mi mancava, ma non volli ricominciare a vomitare, se non raramente, ma ripresi il mio circolo vizioso, sostituendolo coi digiuni e la palestra.
Anche lei, dopo aver preso peso, riprese con le vecchie abitudini.
E io la vedevo così magra in confronto a me, così brava a digiunare e ammazzarsi di palestra, mentre io restavo ferma a quel numero così enorme.
Ci staccammo. Lei da me e io da lei.
La mia motivazione, estremamente superficiale, fu che stare così attaccata a lei, anche dopo il diploma, scatenava la mia invidia in una maniera incontrollabile.
La sua non la so. Penso che stare accanto a una persona malata come me, alla fine, non la stesse aiutando come credeva e, anzi, alla fine ci stessimo condizionando a vicenda.
L'avevo capito un giorno in cui, nonostante fossimo in due posti diversi della scuola, ci siamo ritrovate nello stesso bagno, per lo stesso motivo. E non ci siamo dette niente.
Lei, probabilmente, per un grissino, io per qualche brioches, un panino ripieno di tutto, molte merendine.
Ma, in quel momento, non volli allontanarmi.
La spinta decisiva, alla fine, me l'ha data l'invidia.
E di questo mi vergogno molto, ancora oggi, a distanza di quasi sei anni.
So che si è ripresa, almeno un po', che lavora e ha lasciato quel ragazzo che non faceva altro che farla piangere.
E di questo sono felice.
Ma tuttora so, che se la incontrassi, che se le nostre strade si rincrociassero, non riuscirei a riallacciare i rapporti, perché non farei altro che desiderare il suo corpo ossuto, la sua determinazione al digiuno, il suo piccolo stomaco.

La rivedo in questa ragazza, che ho visto diecimila volte in facoltà, con cui abbiamo amici in comune, ho avuto mille occasioni per parlarci, ma non lo farei mai.
Perché è più magra di me.

Sono completamente scema.


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